La storia, o meglio, la leggenda è andata avanti per anni. L’Espresso, un paio di anni fa, dedicò un lungo articolo alle origini, alla carriera calcistica e alla famiglia di Andrea Pirlo. Nel pezzo a firma di Gianfrancesco Turano si narrava di un altro Pirlo, l’uomo che in ambito extra sportivo è un industriale siderurgico di etnia politicamente scorretta e sospette simpatie progressiste. L’azienda si chiama Elg steel ed è guidata dal padre di Andrea, mentre lui detiene una piccola quota attraverso la sua holding personale. L’amore per la siderurgia è una passione innata ed ereditata dalla sua famiglia. Pirlo, inoltre, ha un debole anche per il vino e con l’azienda vitivinicola Pratum Coller, nella bassa bresciana, lavora uve marzemino, sangiovese e trebbiano per metterle in botte nelle cantine di una cascina medievale.
Secondo le voci che circolavano fino a poco tempo fa, la ragione degli interessi e degli hobby di Pirlo sarebbe da ricercare nelle origini della famiglia del calciatore che, dal lato paterno, avrebbe discendenza sinti, una delle etnie romanì. Non a caso il commercio e la lavorazione dei metalli sono uno dei mestieri tradizionali delle comunità romanì. Pirlo non si è mai esposto per smentire le supposizioni e ha sempre preferito il silenzio, anche per non generare fraintendimenti in un periodo in cui la questione dei rom è spesso al centro di discussioni politiche piuttosto “forti”.
Nella autobiografia scritta a quattro mani con Alessandro Alciato (giornalista Sky), edita da Mondadori e intitolata “Penso quindi gioco“, Pirlo spiega con la solita pacatezza che lo contraddistingue anche in campo, come è nata la diceria sul suo conto e perché in tutti questi anni ha sempre scelto la via del silenzio invece del chiarimento:
«Sono uno zingaro errante sul campo, un centrocampista alla continua ricerca di un angolo non inquinato, dove potermi muovere libero, almeno per un attimo, senza marcatori asfissianti o maltesi assatanati alle costole. Pochi metri quadrati in cui essere me stesso, continuando a professare il mio credo: prendo la palla, la do a un compagno e quel compagno fa gol. Si chiama assist, è una felicità indotta. Sarà per questo affannoso spostarsi da una zona all’altra del prato, comunque a piedi e senza roulotte, che a un certo punto si è sparsa la voce che io venissi da una famiglia Rom, anzi, per la precisione sinti. Prima di Italia-Romania, agli europei del 2008 Austria e svizzera, l’ha scritto un giornale, dando ampio risalto al servizio.
All’inizio ho lasciato stare, ho sorriso davanti ai titoloni, poi il bombardamento mediatico si è fatto insostenibile, sono uscite cose pesanti, non vere, dettagli relativi alla mia famiglia. Sono andati a vedere tutto quello che facevamo e l’hanno scritto, diffondendo notizie sulle nostre abitudini, sui luoghi che frequentavamo, sulle persone che incontravamo, invadendo in maniera fastidiosa e pericolosa la nostra privacy e quella delle persone vicine a noi. Mi sono fatto un’idea precisa di come possa essere nata una voce del genere. Oltre che della produzione del vino, mio padre Luigi si occupa anche di siderurgia, attraverso la Elg Steel, un’azienda in cui lavora tra gli altri mio fratello. Siccome il commercio e la lavo-razione dei metalli rappresentano tradizionalmente il lavoro più diffuso tra i sinti, qualcuno ha voluto fare uno più uno e dal risultato, da un due molto sporco, è nata quella serie di articoli strampalati.
Se avessi fatto una rettifica utilizzando toni forti, se avessi negato in maniera evidente, avrei rischiato di offendere qualcuno. Sarebbe sembrata una presa di distanza da una comunità, una presa di posizione contro tante persone, qualcuno avrebbe potuto interpretare male la mia voglia di riaffermare la verità, scambiandola per un atto di razzismo. Questo è un rischio che non volevo assolutamente correre, per il semplice motivo che i razzisti mi fanno schifo. Io non sono sinti, ma raccontarlo pubblicamente avrebbe potuto creare una serie di contrattempi, più a loro che a me, a quel punto sarebbe stata la loro privacy a essere invasa e fatta a pezzi.
Sarebbe partita comunque la caccia all’intervista, per raccontare il mondo che Andrea Pirlo aveva citato, conosco i rischi di certe situazioni mediatiche e ho preferito evitarli. Le persone appartenenti a quell’etnia fanno semplicemente parte di un’altra cultura, sono un altro popolo, loro sono fatti in un modo e noi in un altro, due storie ugualmente belle, pezzi di uno stesso puzzle. Non l’ho fatto allora, rimedio adesso, dicendo ciò che avrei voluto raccontare: la mia famiglia è sempre stata lombarda, sono bresciano, sono italiano non di origine sinti e soprattutto contro i sinti non ho nulla. Sarebbe grave il contrario».
Tratto da “Penso quindi gioco”. Di Andrea Pirlo con Alessandro Alciato, Edizioni Mondadori.
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